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L’indigenza famigliare

ex art. 6, 7 e 8 c.c.

Il “preminente interesse del minore”, che impronta tutto il nostro ordinamento giuridico, contempla tutte le forme di separazione dei minori dal proprio nucleo familiare naturale, come del tutto residuali ed eccezionali, in quanto riconosce il palese significato psicologico e sociale che i genitori rappresentano, all’interno e all’esterno della famiglia.

Tuttavia, in alcuni casi, l’affidamento temporaneo ad una casa famiglia (o meglio ancora ad un altro nucleo familiare) e perfino la decisione di dichiararne lo “stato di adottabilità” sono provvedimenti inevitabili, proprio per salvaguardare interamente l’equilibrio psico-fisico di un minore. Il Tribunale per i minorenni territorialmente competente però, deve sempre accertarsi, anche attraverso un accurato “monitoraggio” effettuato dai servizi sociali, che il minore sia in un effettivo e ragionevolmente irrecuperabile Stato di Abbandono (morale e/o materiale) e/o Maltrattamento (fisico e/o psicologico), che renda la sua permanenza nella casa familiare particolarmente penosa, pericolosa o degradante.
Non possono certamente quindi essere solo condizioni di transitoria difficoltà economica, pur gravi, a poter far decidere un Giudice a sottrarre i figli ai genitori. Ecco che allora, al fine di diagnosticare tempestivamente le situazioni critiche per poter intervenire, possibilmente prevenendo l’acuirsi del disagio e il precipitare della situazione familiare, il legislatore ha introdotto, ex art. 100 del Dlgs. n° 14 del 2013, un articolo 79-bis alla Legge n° 184 del 1983, disciplinante l’adozione di minori. L’art. 79-bis in parola, infatti dispone che: “Il giudice segnala ai comuni le situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedono interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia.”
Non sono solo più quindi le realtà territoriali e assistenziali a dover segnalare al Giudice le situazioni di disagio minorile, ma anche l’autorità giudiziaria è tenuta ad allertare gli organi dell’Amministrazione pubblica, a salvaguardia del benessere dell’infanzia e a protezione dell’integrità familiare in genere. Una forte e innovativa presa di posizione, quindi, da parte del legislatore, che riconosce come la “povertà” in sé, non sia quasi mai una colpa dei genitori (salvo i casi di reale “dissipatezza del patrimonio familiare”), ma solo una condizione di gravissimo disagio esistenziale, peraltro molte volte risolvibile, pur con modesti aiuti da parte delle istituzioni.

Advocat Maria Cristina Morganti

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