Può succedere che tra conviventi more uxorio si mettano a disposizione delle somme per poter intraprendere una convivenza stabile. Somme, ad esempio, che vengono impiegate per l’acquisto del terreno e per la costruzione della casa che costituirà dimora familiare.
Ma cosa succede se dopo aver erogato la somma per i relativi acquisti, la convivenza si scioglie? Il convivente che ha dato la somma per costruire la casa familiare sul terreno di proprietà dell’altro convivente, di cui non risulti traccia in un atto scritto, può ottenere la restituzione della somma se a risultare unico intestatario della casa è l’altro convivente?
Le somme spese per l’acquisto di un terreno e per la costruzione della casa sopra di esso sostenute anche dal convivente non intestatario rientrano nelle obbligazioni naturali?
Quando però la dazione di denaro ad opera del convivente, che è servita per acquistare il terreno e per costruirvi la casa da adibire a dimora familiare, risulta essere piuttosto ingente, ciò complica non poco la questione, se la convivenza cessa, i due si separano e l’altro convivente si rifiuta di restituire le somme versate. Il convivente potrebbe infatti rifiutarsi di restituire le somme date dall’altro convivente adducendo che trattasi di gesto rientrante nel comune dovere morale di contribuire a tutte le spese che fanno parte della vita familiare.
L’acquisto di un terreno e della relativa casa possono trovare la loro giusta causa negli obblighi morali così come previsti nelle obbligazioni naturali?
L’ingiustizia dell’arricchimento quando si può configurare?
Sulla questione in esame è intervenuta la sentenza della Cassazione Civ., Sez. III, n. 14732/18, 7 giugno 2018, che ha chiarito che nell’ambito della convivenza more uxorio si deve escludere che possa costituire giusta causa l’arricchimento di un convivente avvenuto a seguito di prestazioni che esulano il mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza. Questo significa che un dovere morale può sussistere per ciò che attiene al pagamento delle spese relative all’affitto, alle spese per le bollette, a quelle alimentari e per quelle d’abbigliamento ecc.. ma quando le spese sostenute sono state ingenti rispetto alla condizione economico-patrimoniale del convivente, la notevole sproporzione fa ritenere di aver travalicato il principio della proporzionalità e adeguatezza. (Nella specie, la sentenza n. 14732/18, 7 giugno 2018, la S. C. ha ritenuto operante il principio dell’indebito arricchimento in relazione ai conferimenti di denaro e del proprio tempo libero impegnato in ore di lavoro per la costruzione della casa che doveva essere la dimora comune, conferimenti effettuati da uno dei due partner in vista della instaurazione della futura convivenza. Ciò in considerazione del fatto che il conferimento volontario non era indirizzato a vantaggio esclusivo dell’altro partner che se ne è giovato dopo lo scioglimento del rapporto sentimentale in ragione del principio dell’accessione, principio secondo il quale è possibile incorporare la casa con la proprietà del terreno). Sulla base dunque di quanto espresso dalla S.C. tali spese non possono farsi rientrare nel dovere di solidarietà e di affetto che si è nutrito verso il convivente poiché tali spese sono state sostenute in vista di un progetto comune, per quella che doveva essere la dimora e al fine d’intraprendere una futura convivenza insieme, non quindi con l’intento di avvantaggiare esclusivamente l’altro partner. Viene così di fatto ribaltata la sent. Cass n. 1277 del 22 gennaio 2014 che considerava le somme corrisposte al convivente come un caso di obbligazione naturale.